Paint it pink: Le quote rosa

Secondo tutti i report, il 2020 in Italia ha segnato un deciso passo indietro riguardo alla parità di genere, conquistati attraverso decenni di lotte. I casi di violenza domesticasono aumentati in modo allarmante a causa del lockdown1, e il 70% delle persone che hanno perso il lavoro a causa della pandemia in tutto il 2020 sono state donne2.
Anche l’inizio del 2021 non si è prospettato migliore; una delle ultime polemiche riguarda infatti il governo Draghi, e in particolare l’assegnazione dei ministeri. Secondo le critiche, infatti, la nuova coalizione sarebbe colpevole di aver assegnato soltanto una minoranza dei posti (8 su 23) a delle donne. Inoltre, dei 14 ministeri con portafoglio, cioè vere e proprie organizzazioni con dipendenti, uffici e un proprio bilancio, soltanto 3 hanno a capo delle ministre. È quindi ritornato in auge il dibattito sulle quote rosa, e sul loro significato e utilità.

Le quote rosa sono un provvedimento temporaneo volto ad assicurare la presenza di entrambi i generi nelle sedi decisionali politiche e delle grandi aziende, stabilendo per legge3 che un certo numero di posti debbano essere riservati al genere meno rappresentato, che molto spesso è quello femminile. Esse sono presenti sia per contrastare la segregazione verticale, cioè l’assenza di donne in posizioni di potere in un certo settore nonostante esso abbia una presenza femminile non trascurabile, sia la segregazione orizzontale, cioè la quasi completa mancanza di lavoratrici in tutti i ruoli di determinate aree. Due esempi sono gli uffici, dove la figura della segretaria è quasi sempre ricoperta da una donna e quella del manager da un uomo, e l’ambito STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), dove la presenza femminile è molto scarsa.

Una delle principali critiche rivolte al sistema delle quote rosa è legato alla meritocrazia. Secondo i sostenitori di questa tesi, scegliere una donna solo in quanto tale a parità di qualifica e impegno è discriminatorio per gli uomini che competono con lei e non garantisce l’applicazione del criterio meritocratico; inoltre, è offensivo per la stessa beneficiaria. Sono moltissimi i casi di figure di spicco femminili che condannano le quote rosa, e rivendicano le proprie capacità e il proprio impegno; infatti, un altro pericolo più che reale è il rischio di delegittimazione della donna assunta, che può venire accusata di non avere altro valore oltre all’appartenenza al genere femminile.

Certamente le quote rosa rappresentano una forzatura, ma il loro intento è quello di compensare discriminazioni già esistenti, che pesano su tutta la carriera delle donne prima dell’assunzione. Il ruolo tradizionale femminile richiede che esse si occupino della casa e dei figli, e che solo secondariamente abbiano una carriera. Si stima che in Italia le donne svolgano il 67% del lavoro familiare4, e che più frequentemente degli uomini subiscano un sovraccarico dato dalla somma di lavoro retribuito e domestico5. La situazione diventa molto più difficile con la maternità, con il tasso di occupazione delle madri che è più basso del 26% di quello delle donne con figli6. La possibilità di gravidanze influisce anche al momento dell’assunzione, dove molto spesso alle donne vengono fatte domande indiscrete e inappropriate sui propri progetti familiari durante il colloquio.

Inoltre, dal punto di vista culturale una donna è spesso percepita, anche inconsciamente, come meno professionale e meno capace di un uomo. Per esempio, le qualità richieste ad un manager, come forza, autorevolezza, ambizione e decisione, sono completamente opposte a quelle tradizionalmente attribuite al genere femminile, e possono portare l’esaminatore a percepire una candidata come meno adatta di un uomo.

Tutto questo avviene in modo completamente inconscio, ed è difficile quantificare quanto effettivamente impatti sulla scelta di un candidato, ma sono stati effettuati degli interessanti esperimenti, tra cui la messa a punto della tecnica del blind recruitment. Esso consiste nell’eliminazione di dati personali dai curriculum, per evitare discriminazioni di genere, razziali o basate sull’età. Una tra le prime realtà ad applicare questo criterio, la Toronto Symphony Orchestra, nel 1980 ha organizzato dei provini facendo suonare i candidati dietro un paravento: l’orchestra, prima composta soltanto da uomini, ha accolto un numero di donne pari alla metà dei posti e moltissime minoranze, vedendo anche un miglioramento della qualità della musica.

In condizioni normali, tuttavia, questi pregiudizi assimilati continuano a causare danni, ed è ingiusto che una donna, per raggiungere ruoli dirigenziali importanti, debba superare questo complesso di ostacoli, oltre alla normale dedizione che l’obiettivo in sè richiede. È anche ipocrita scaricare la responsabilità del superamento dei pregiudizi sullo stesso soggetto discriminato, attribuendo l’insuccesso soltanto ad un impegno insufficiente.

Riguardo ai casi di segregazione orizzontale, il motivo potrebbe essere sempre culturale; tradizionalmente, le donne vengono percepite come più emotive ed empatiche, mentre gli uomini come più pratici e razionali, e ciò si riflette anche nell’educazione e nei modelli di comportamento che ogni individuo insegue, e di conseguenza anche nella scelta della carriera. Infatti, alla predominanza maschile negli ambienti scientifici si contrappone un dominio femminile in quelli di cura dei bambini e dei malati. Questo fenomeno rappresenta inoltre un circolo vizioso: una persona potrebbe sentirsi intimidita dall’assenza di persone del suo stesso genere nell’ambiente di lavoro, potrebbe sentirsi fuori posto o implicitamente pensare di valere meno solo in funzione del proprio genere, per una sorta di svantaggio biologico di cui in realtà non si hanno prove.

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Le quote rosa, quindi, rappresentano un particolare vantaggio sia nei casi di discriminazione orizzontale che verticale, poiché introducono modelli in conflitto con il pregiudizio, mostrando donne in posizioni di potere o in campi non tradizionali, che auspicabilmente saranno capaci e quindi in grado di sfatare il mito della minore competenza femminile. Un loro valore aggiunto consiste anche nel creare un ambiente di lavoro più accogliente e inclusivo, dove nessuno possa sentirsi fuori posto come nei casi di segregazione orizzontale. Nei casi di discriminazione verticale, invece, possono essere considerate una sorta di riconoscimento degli sforzi delle candidate e di compensazione per i possibili ostacoli incontrati nel percorso precedente l’assunzione. In aggiunta a tutto ciò, le quote rosa si sono dimostrate molto redditizie anche a livello economico. La forza lavoro femminile è infatti troppo poco sfruttata, essendo in parte relegata a ruoli più bassi rispetto alle competenze effettive e in parte costretta al lavoro domestico, e la partecipazione completa e paritaria delle donne alla produzione non può che dare vantaggi. Anche i dati lo confermano: aumentare il numero delle donne dirigenti dal 20% al 30% aumenta la produttività dell’azienda fino all’8%7.

Tuttavia, è importante ricordare anche le premesse: le quote rosa sono sì positive, ma rappresentano una misura temporanea e una forzatura della realtà. Certamente aiutano a ridurre gli effetti dell’azione dei pregiudizi, ma si tratta solo di una correzione a posteriori; è quindi vitale affiancare le quote rosa a delle misure stabili, come campagne di sensibilizzazione e di educazione, misure di welfare come il congedo parentale e iniziative per aumentare la partecipazione femminile alla forza lavoro. Il loro effetto, a differenza delle quote rosa, sarà in grado di cambiare in modo duraturo la mentalità e la società, ed assicurare quella parità tra generi che è tanto necessario e doveroso raggiungere.

Fonti:

  1. Dati da Amnesty International (Telefono Rosa e Rete D.I.Re.)
  2. Dati ISTAT 2020
  3. Legge 120/2011 (Golfo-Mosca)
  4. Dati ISTAT 2013-2014
  5. Dati ISTAT 2017-2018
  6. Dati ISTAT 2017-2018
  7. “Unlocking Female Employment Potential in Europe: Drivers and Benefits”, 2016, Fondo Monetario Internazionale

© Nadir – il blog degli studenti del Collegio Mazza – Autore: Gaia Brambilla